La giornata contro la cyber censura, che si celebra il 12 Marzo, è stata indetta nel 2008 da Amnesty e Reporters Sans Frontières con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della preservazione del diritto d’informazione, di stampa e di parola. L’obiettivo di questo articolo è mettere in luce i modi in cui i governi censurano la libertà di parola online.
Innanzitutto, ritengo necessario scindere l’oscuramento di contenuti presente anche nei paesi liberi e democratici dalla censura di regime: la prima si occupa della censura delle oscenità: pedopornografia, crimine, odio contro gruppi di persone. L’oscuramento di questo tipo di contenuti mira a tutelare i diritti delle persone, in quanto va a colpire attività ritenute illecite non solo dalle normative internazionali ma anche dal nostro concetto di comunità stesso: non credo sia necessario spiegare perché il razzismo o la pedopornografia siano atti deplorevoli.
La censura di regime, invece, calpesta il diritto di espressione e di stampa, in quanto mira a sopprimere la diffusione di idee e informazioni che vanno controcorrente rispetto alla dottrina imposta dallo stato. Esempi di queste censure sono: la limitazione dell’accesso a giornali online, lo stretto controllo dei contenuti pubblicati sui social, l’oscuramento di pagine di critica politica…
È importante riconoscere l’esistenza di una zona grigia; riguardante l’oscuramento di contenuti vicini a orientamenti politici non convenzionali, pseudoscientifici o cospiratori. La gestione di questo spaccato dell’opinione pubblica varia da una nazione all’altra ma anche tra uno spazio web e un altro con sottigliezze spesso aperte a differenti interpretazioni, che talvolta sfociano in lunghe sentenze in tribunale.
L’esempio più eclatante di cyber censura in atto in questo periodo riguarda i recenti oscuramenti in rete da parte delle autorità russe: a oggi sono stati censurati tutti i social e le testate giornalistiche di origine occidentale, è stata inoltre introdotta una legge che punisce la divulgazione di “notizie false” riguardanti il conflitto in Ucraina con la reclusione fino a 15 anni. Putin ha di fatto firmato una legge che rende illegale ogni pubblica opposizione o divulgazione di notizie non omologate riguardanti la guerra in Ucraina. Sembra addirittura che l’etichettatura di questa situazione come “guerra” sia illecito, in quanto secondo il Cremlino si tratta di una “speciale operazione militare”[1]. Questi provvedimenti hanno causato il totale stop delle attività di reportage internazionale in Russia; la Rai ha sospeso i servizi giornalistici il 5 Marzo[2].
Le autorità russe starebbero addirittura valutando di disconnettere l’intera nazione da Internet allo scopo di rendere qualsiasi sito non russo inaccessibile, ma soprattutto di impedire lo sfruttamento di un diffuso metodo per bypassare la censura, ovvero l’uso dei VPN. Un tale provvedimento sarebbe il primo di tale portata e sancirebbe l’inizio di una cortina di ferro informatica[3].
Un altro caso di diffusa cyber censura è quello della Cina; potremmo parlare per giorni dei calpestamenti dei diritti da parte del governo cinese verso i suoi cittadini, o di come, censurando scienziati e dottori è stata rallentata la risposta alla pandemia, aggravando ulteriormente la situazione. Wikipedia dedica alla censura cinese una pagina lunghissima, nella quale si trova anche Winnie The Pooh. Strano vero? Ma perché mai l’innocuo orsacchiotto è stato censurato dagli spazi web cinesi? Il tutto inizia durante una visita di Xi Jinping negli Stati Uniti nel 2013 in seguito alla quale nascono numerosi meme, che affiancano immagini del presidente con foto dell’orso Pooh. Simili contenuti continuano a circolare un anno dopo durante la visita in Giappone. Il governo cinese ha considerato le caricature come offese all’autorità del loro leader e ha quindi utilizzato un’arma con cui già aveva molta esperienza, ovvero la censura dei contenuti su Internet.[4]
È chiaro che la cyber censura non avviene solo nei paesi precedentemente citati, ma anche in moltissimi altri: c’è una lista, chiamata “Enemies of the Internet list”, stilata da Reporters Sans Frontières (RSF) nella quale sono elencate le nazioni che si contraddistinguono non solo per la capacità di censurare informazioni online ma anche per la loro sistematica repressione degli utenti di Internet. Sulla lista, compaiono 20 nazioni, tra le quali Regno Unito e Sati Uniti[5].
Ma è davvero giusto mettere sullo stesso piano i due paesi anglofoni e gli stati citati precedentemente che oscurano migliaia di siti e incarcerano chi diffonde idee pro-democratiche? Secondo RSF la risposta è affermativa. Da un loro report si legge che: “L’uso di massicci sistemi di sorveglianza impiegati in queste tre nazioni (UK, USA e India, n.d.r.), è ancor più grave in quanto viene usato come scusa da altri stati autoritari come Iran, Cina, Turkmenistan, Arabia Saudita e Bahrain per giustificare le proprie violazioni della liberà d’informazione. Come possono le cosiddette democrazie insistere sulla protezione dei giornalisti se poi adottano esattamente le stesse tecniche per le quali criticano I regimi autoritari? Tradotto – The Enemies of the Internet 2014 – Reporter Without Borders”.
[1] https://www.nytimes.com/2022/03/04/world/europe/russia-censorship-media-crackdown.html
[2] https://www.repubblica.it/politica/2022/03/05/news/la_rai_sospende_i_servizi_giornalistici_dalla_russia-340412631
[3] https://www.nytimes.com/2022/03/07/technology/russia-ukraine-internet-isolation.html
[4] https://en.wikipedia.org/wiki/Internet_censorship_in_China#Winnie_the_Pooh
[5] https://rsf.org/sites/default/files/2014-rsf-rapport-enemies-of-the-internet.pdf