Cristoforo Colombo e la “scoperta” dell’America: ne sentiamo parlare fin da quando siamo piccoli durante le lezioni di storia, il famoso 1492 che separa il Medioevo dall’età moderna.
Ma non tutti probabilmente sono a conoscenza che non è stato Colombo il primo ad arrivare nel nuovo continente: vichinghi e portoghesi lo anticiparono nella scoperta, sebbene non vi si stabilirono mai, al contrario di Colombo che con la sua famosa flotta costituita dalla Nina, la Pinta e la Santa Maria cominciò una crudele campagna di colonizzazione.
Il genovese, finanziato dai regnanti spagnoli, approdò in un’isola dell’arcipelago delle Bahamas verso metà ottobre di fine Cinquecento dopo 36 giorni di navigazione. Nel suo diario riportò alcune note positive riguardanti la popolazione dell’isola: descrisse le persone come intelligenti, gentili, ospitali, di buon cuore. Questa gente faceva qualsiasi cosa gli venisse chiesta senza mai dire di no e in maniera sempre onesta, così tanto che Colombo ne rimase “impressionato” e decise di sfruttare questa loro gentilezza, mettendo sotto torchio l’intera isola e schiavizzando i nativi in modo brutale nelle miniere d’oro, fonte di grandi guadagni per lui. Nel giro di soli 2 anni metà della popolazione dell’isola morì, chi per mano degli europei, chi perché piuttosto che vivere sotto il dominio di Colombo aveva preferito togliersi la vita.
Negli anni a seguire, Colombo agevolò il traffico umano, a partire da bambine di appena 9 anni come schiave sessuali, da utilizzare come moneta negli scambi (ne abbiamo le prove evidenti nel suo diario). Uccideva bambini indigeni davanti agli occhi dei genitori, schiavizzava gli uomini nativi e li costringeva a lavorare nelle miniere d’oro per lui in condizioni crudeli: dava loro una quota individuale giornaliera di oro da estrarre dalle miniere, quota oggettivamente impossibile da raggiungere, e a chi non riusciva a starne al passo gli venivano tagliate le mani.
Col suo secondo viaggio nel nuovo continente, Colombo portò con sé cannoni e cani da caccia: se i nativi facevano resistenza gli tagliava il naso o le orecchie, se gli schiavi provavano a scappare li bruciava vivi o mandava i cani a cacciarli, i quali li dilaniavano a morsi. Inoltre, nei periodi di carenza di carne, gli spagnoli uccidevano i neonati nativi per darli come cibo ai propri cani.
Questi atti di crudeltà ordinati da Colombo fecero rimanere senza parole anche i suoi contemporanei: per primo il governatore Francisco de Bobadilla, il quale arrestò Cristoforo e i suoi due fratelli, li incatenò e li rispedì in Spagna perché rispondessero dei loro crimini. Arrivati in madre patria, il re e regina di Spagna li liberarono dalle accuse perché stavano riempiendo d’oro le casse del tesoro.
Incarcerati o meno, Bobadilla non fu l’unico ad accusare Colombo dei crimini da lui effettivamente commessi: anche altri uomini spagnoli che lavoravano per il conquistatore, dopo aver disertato, testimoniarono le atrocità a cui avevano assistito: omicidi di massa, stupri, decapitazioni, roghi, morti crudeli, torture…
Ora bisogna chiedersi: se noi fossimo i discendenti dei nativi americani celebreremmo Colombo come un eroe, come fa la maggioranza delle persone oggi? Non penso. Anzi, credo che invece di celebrare un genocida, un uomo che ha rubato e distrutto persone e le loro case, un uomo che non vedeva niente di sbagliato nelle crudeltà che compiva, un uomo che ha ucciso una popolazione intera e con essa la sua lingua, religione e cultura, dovremmo celebrare e ricordare i milioni di innocenti morti per mano sua. Dovremmo celebrare le vite dei nativi americani, sterminati da un uomo troppo ignorante per riuscire a capire e rispettare la loro cultura e modo di vivere.